Elit July 16, 2020

Inflazione e Covid 19: ecco cosa aspettarsi

a cura dell’Investment Advisory di Deutsche Bank

Gli effetti della pandemia sull’andamento dei prezzi sono molteplici e contrastanti; ma il loro saldo complessivo sembra convergere verso una relativa stabilità.

Il denaro è un mezzo di scambio, un'unità di conto e riserva di valore. Quando il valore del denaro diminuisce nel tempo, i consumatori ottengono meno beni o servizi per la stessa quantità di denaro - e questa è l'inflazione. L'effetto opposto si chiama deflazione. Storicamente, si sono alternati sia periodi di inflazione che di deflazione. Ma dall'abbandono del gold standard all'inizio del ventesimo secolo abbiamo vissuto in un mondo di prezzi in crescita, sebbene l'inflazione sia stata generalmente tenuta sotto controllo.
Lo shock esterno del COVID-19 sta avendo un forte impatto sull'economia globale sia dal lato dell'offerta che da quello della domanda. Le banche centrali e i governi hanno reagito con misure di stimolo monetario e fiscale senza precedenti. Di conseguenza, i bilanci delle banche centrali si stanno gonfiando così come le passività dei governi, ma anche di imprese e famiglie. Quali sono le conseguenze per i tassi di inflazione?

Cos’è l’inflazione?

Quando parliamo di inflazione, ci riferiamo generalmente all'aumento dei prezzi al consumo. Si definisce come la variazione di prezzo di un determinato paniere di beni e servizi, identificato come rappresentativo delle abitudini di consumo della famiglie di un determinato Paese. I consumi di ogni individuo sono naturalmente differenti tra loro e cambiamenti nel tempo delle abitudini di consumo a livello aggregato si riflettono nel paniere, sebbene spesso con un certo ritardo. L'inflazione esiste solo quando il livello dei prezzi del paniere di beni e servizi al consumo mostra un incremento. Potrebbero verificarsi aumenti di prezzo per specifici beni o servizi, ma ciò non comporta necessariamente inflazione nel complesso.

Gli aumenti di prezzo dei beni finanziari, come ad esempio le azioni, non fanno parte di questi panieri inflazionistici, ma possono avere implicazioni per la perdita di potere d'acquisto in talune circostanze. Gli aumenti di prezzo delle attività finanziarie sono comunque un importante canale di trasmissione dell'inflazione, come discuteremo più avanti.

Le banche centrali tendono a perseguire un incremento moderato ma controllato dei prezzi, in parte al fine di evitare che questo minacci la funzione di riserva di valore della moneta. Ancora più importante, un ambiente deflazionistico è più difficile da combattere per le banche centrali e potrebbe portare a una spirale economica al ribasso se i consumi venissero rinviati in previsione di prezzi più bassi. Le imprese vedrebbero ridimensionati i propri fatturati e dovrebbero ridurre i salari, causando ulteriori pressioni sulla domanda di beni e servizi da parte delle famiglie, peggiorando dunque ulteriormente la situazione. In teoria, le banche centrali mirano a tassi di inflazione costanti e moderati nel tempo, motivo per cui si concentrano anche sulle aspettative di inflazione implicite nel mercato - che hanno visto una forte riduzione di recente, in particolare nell’Eurozona.

L'inflazione è generalmente accolta favorevolmente dalle istituzioni con significativi livelli di indebitamento, ad esempio i governi. Infatti, quanto aumenta l'importo nominale del PIL, anche grazie all’inflazione dei prezzi, il rapporto tra il debito e il PIL si riduce. Inoltre, un aumento dell'importo nominale del PIL può causare un incremento delle entrate fiscali. Ma non è solo l'inflazione a condizionare le dinamiche di indebitamente: gioca un ruolo fondamentale il tasso di interesse pagato sul debito. Solo se il tasso di crescita del PIL nominale è superiore al tasso di interesse pagato, il rapporto tra debito e PIL può ridursi nel tempo, naturalmente a condizione che non si continui a incrementare l’importo dell’indebitamento. Lo stesso vale per le finanze di famiglie e imprese.

Quali sono le prospettive?

Nel breve termine, l'inflazione tenderà a rimanere sotto pressione a causa dello shock di domanda che l’economia globale sta soffrendo. Naturalmente, anche il lato dell'offerta ha subito dei traumi a causa della pandemia, ad esempio la produzione in alcuni stabilimenti è stata sospesa o ridotta a causa di interruzioni della catena di approvvigionamento o semplicemente a causa di interruzioni nella distribuzione. Tuttavia, alla luce della scarsa capacità produttiva utilizzata in questo momento, qualsiasi aumento dell'inflazione sembra piuttosto improbabile a breve termine, nonostante le misure monetarie e fiscali senza precedenti adottate dalle banche centrali e dai governi di tutto il mondo. Il principale fattore a calmierare aumenti di prezzo potrebbe essere il rapido aumento della disoccupazione in molti paesi. Negli Stati Uniti ad esempio, nelle prime tre settimane delle misure di blocco sono stati distrutti più posti di lavoro di quanti ne siano stati creati nei dieci anni che hanno seguito la crisi finanziaria globale. Sebbene ci siano segni che negli Stati Uniti il mercato del lavoro stia iniziando una lenta ripresa, la disoccupazione continuerà verosimilmente a pesare sulla domanda della famiglie e dunque sull’inflazione. La relazione di lungo periodo tra disoccupazione e inflazione rimarrà intatta, sebbene le diverse misure introdotte da vari governi potrebbero lasciare spazio ad una variabilità a livello geografico. Vi sono infatti alcune iniziative di politica fiscale che potrebbero deprimere ulteriormente l’inflazione nel breve termine. Ad esempio, con la riduzione dell’IVA, il governo tedesco punta esplicitamente alla riduzione dei prezzi al consumo.

Nei prossimi trimestri vedremo probabilmente una tendenza ribassista generalizzata dei prezzi, ma veri e propri fenomeni deflazionistici dovrebbero essere evitati grazie al fatto che i prezzi di alimenti e i costi sanitari rimangono ben supportati. Saranno invece componenti importanti del paniere di beni e servizi utilizzati per calcolare gli indici di inflazione, come gli affitti e i prezzi dell'energia, a rimanere sotto pressione.

Ci attendiamo che l'inflazione nell’Eurozona toccherà il minimo a -0,3 per cento quest'anno con una successiva stabilizzazione all'1,0 per cento nel 2021. L’indice PCE, spese per consumi personali, negli Stati Uniti dovrebbe sfiorare lo zero a 0,1 per cento verso la fine dell’anno per poi risalire al 2,6 per cento il prossimo anno.

Nel più lungo periodo, sosteniamo che vi siano buone probabilità di una ripresa dell’inflazione, almeno in alcuni segmenti dell’economia globale. Questo seguirà sia la notevole espansione dei bilanci delle banche centrali sia la graduale ripresa della domanda aggregata, ma sarà supportato anche da fenomeni reali quali la de-globalizzazione, ovvero la redistribuzione geografica delle catene del valore sia tra imprese che all’interno di grandi multinazionali. La conseguenza sarà maggiore inflazione attraverso il canale salariale, con la ricerca di competenze e talenti in alcuni mercati e il riflesso sul costo finale di beni. Le stesse banche centrali verosimilmente permetteranno che l’inflazione superi i loro livelli obiettivo temporaneamente, favorendo l’alleggerimento del debito e recuperando il terreno perduto durante più di un decennio di crescita dei prezzi molto debole.


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