db Premium Magazine October 8, 2025

La prosopagnosia di Sadie Dingfelder

Nel suo “Ci siamo già visti?” la giornalista racconta in prima persona il disturbo che impedisce di riconoscere i volti.

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Se il termine “prosopagnosia” può risultare oscuro e incomprensibile, assai più conosciuta è la sua tipica manifestazione: l’incapacità di riconoscere e ricordare i visi delle persone.

Un fenomeno che, entro certi limiti, è assolutamente comune sperimentare: l’imbarazzata e imbarazzante domanda “Ci siamo già visti?” che dà il titolo al libro di Sadie Dingfelder, recentemente tradotto e pubblicato dall’editore Altrecose, è una frase che la maggior parte di noi ha avuto modo di pronunciare - o di pensare - con una certa frequenza.
Ci sono casi, però, in cui questa carenza di memoria si sviluppa in un vero e proprio deficit del sistema nervoso centrale, che impedisce a chi ne è affetto di riconoscere anche persone con cui si ha grande consuetudine: amici, familiari, colleghi.

Un disturbo, quello della prosopagnosia, di cui soffre l’autrice del libro, la giornalista scientifica americana Sadie Dingfelder; la quale ha voluto esplorare in profondità questo fenomeno con l’aiuto di neurologi e ricercatori, lo studio di articoli scientifici e usando se stessa come campione-esempio, sottoponendosi a test e indagini di vario genere, per cercare di comprendere - come recita il sottotitolo “come ricordiamo e riconosciamo (o no) le facce, le persone e il mondo intero”.

È nato così un interessante e scorrevolissimo racconto, capace di fondere perfettamente la divulgazione scientifica con la narrazione in prima persona di episodi di vita raccontati con piglio brillante, in cui è facile ritrovare qualcosa di se stessi: aneddoti in alcuni casi esilaranti, come quando l’autrice racconta di aver scambiato uno sconosciuto al supermercato per il proprio marito, o la sua incapacità di seguire le trame dei film non riuscendo a riconoscere gli attori dopo un cambio d’abito, o i vari trucchi - non sempre riusciti - per dissimulare il suo disturbo nel corso di eventi sociali. Tanto più che, con il progredire dell’analisi, l’indagine si allarga ad altri e differenti tipi di neurodivergenze più o meno diffuse, non sempre diagnosticate e talvolta ricondotte semplicemente nell’ambito di caratteristiche e comportamenti “un po’ stravaganti”.

Quello che emerge, nell’insieme, è l’evidenza del fatto che l’asticella della normalità è estremamente elastica: ciascuno di noi ha un modo diverso di percepire, ricordare e immaginare il mondo, e comprendere come siamo fatti può aiutarci a comprendere anche chi abbiamo di fronte.


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