Insights CIO View April 16, 2025

La reazione dei mercati ai dazi

PERSPECTIVES Special | Autori: Dr. Ulrich Stephan, Chief Investment Officer Germany - Michael Blumenroth, Senior Investment Strategist - Lorenz Vignold-Majal, Senior Investment Strategist

Key takeaways
 
• La politica commerciale USA e i suoi alle volte cambi di rotta inaspettati hanno causato
movimenti di mercato significativi negli ultimi giorni.
• Sebbene il Presidente USA Trump abbia annunciato una pausa ai dazi reciproci, il conflitto commerciale con la Cina ha subito un’escalation. Sui mercati si è diffusa una certa preoccupazione per una recessione globale. Ciò nonostante, gli investitori non si sono affidati ai tradizionali beni rifugio come i titoli di Stato USA e il USD.
• Nel caso in cui i mercati azionari dovessero continuare a scendere, gli investitori che hanno un orizzonte temporale di lungo termine potrebbero sfruttare i ribassi per comprare a valutazioni più interessanti alcuni segmenti di mercato, come le azioni europee o le società del settore tecnologico.

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Che cosa è successo?

Il 2 aprile, il Presidente USA Donald Trump ha annunciato i «dazi reciproci» diretti ai partner commerciali degli Stati Uniti in misura differente. Questi sono entrati in vigore dalla mezzanotte del 9 aprile e sono stati ben superiori alle aspettative del mercato. Dopo poche ore, però, il Trump ha annunciato una pausa di 90 giorni e ridotto lungo questo periodo le tariffe al 10% per quasi tutti i partner commerciali ad eccezione della Cina. Scorsa settimana, le tariffe applicate ai beni di provenienza cinese sono stati alzati fino al 145% dopo che la Cina, a sua volta, aveva aumentato le tariffe alle importazioni di beni statunitensi al 125%.

Nel weekend, anche se Donald Trump ha inizialmente annunciato una riduzione delle tariffe al 20% per i prodotti elettronici che la Cina esporta verso gli Stati Uniti, ha anche specificato che si tratta di un primo step. Secondo quanto riferito dal Presidente USA, infatti, nel corso della Settimana Santa avrebbe annunciato dazi specifici sulle importazioni di semiconduttori e di prodotti farmaceutici.

Le decisioni di Trump, molto spesso erratiche e applicabili soltanto per un periodo di tempo limitato, ha causato movimenti importanti sulle principali asset class. L’incertezza che pesa sul commercio internazionale, sulle catene di approvvigionamento globali e sulla disponibilità di materie prime per l’industria ha spinto gli operatori di mercato ad aumentare la probabilità in primis di un rallentamento importante dell’economia statunitense e di riflesso per quella globale, insieme ad un aumento dell’inflazione. 

Quali sono le implicazioni per gli investitori?

Obbligazioni

I titoli di Stato USA hanno incorporato una maggiore probabilità che la Fed avrebbe ridotto i tassi di interesse più rapidamente rispetto a quanto non avrebbe fatto in precedenza, a causa del deterioramento dello scenario macroeconomico con minori prospetti di crescita e maggiore pressione sui prezzi. La curva governativa USA ha subito un irripidimento importante: i tassi di interesse a breve termine sono scesi in maniera significativa mentre quelli a lunga scadenza sono aumentati. Gli effetti dei maggiori tagli dei tassi di interesse, infatti, si manifestano di più sui titoli di Stato con scadenze più brevi.

Il rendimento del Treasury a 10 anni era al di sotto del 4,0% alla fine della giornata di venerdì 4 aprile. Alla fine della settimana successiva aveva raggiunto il 4,49%, registrando l’incremento settimanale più elevato dal 2001. Il rendimento sul titolo a 30 anni in alcuni momenti è addirittura salito oltre il 5,0% e durante la stessa settimana è aumentato di 46 punti base (pb), il maggior balzo settimanale dal 1987 in questo caso.

Ad attirare ancora di più l’attenzione è stato l’andamento rispetto ai titoli di Stato di altri Paesi, in alcuni casi analogo, in altri divergente. Simile a quanto avvenuto negli Stati Uniti, anche nel Regno Unito i mercati hanno messo in dubbio le prospettive economiche del Paese e i rendimenti sono aumentati parecchio. Al contrario, i rendimenti dei titoli di Stato giapponesi a 10 anni sono riusciti ad evitare la pressione al rialzo, mentre i Bund tedeschi hanno concluso la settimana al 2,57%, sullo stesso livello della settimana precedente. Il differenziale di rendimento tra questi ultimi e i Treasury si è ampliato di 50 pb che, su base settimanale, è l’allargamento più grande dal 1990, ossia dall’anno in cui è cominciata la serie storica e quando la Germania si è riunificata. Dal 2 aprile, i rendimenti sono scesi di 15 pb, in netto contrasto con il trend che si è osservato negli Stati Uniti.

Storicamente, nelle fasi di volatilità o durante le crisi i Treasury hanno sempre attirato flussi di capitale da parte degli investitori in qualità di «bene rifugio», anche in occasione della crisi finanziaria del 2008/2009 quando gli Stati Uniti sono stati l’epicentro della crisi. Ma questa volta non è successo. I frequenti cambi di rotta della politica commerciale e l’apparente assenza di considerazioni in merito alle conseguenze economiche sembra abbiano minato la fiducia del mercato verso gli investimenti USA. Alcuni investitori sembra stiano mettendo in dubbio l’eccezionalismo di cui l’economia statunitense ha sempre goduto negli anni passati.

La pausa delle tariffe annunciata il 9 aprile e la seguente riduzione al 10% per buona parte dei Paesi potrebbe essere interpretata come una reazione alle vendite registrate sui titoli di Stato USA in quel giorno. Il Governo USA sembra più interessato all’andamento del mercato obbligazionario piuttosto che a quello del mercato azionario. Del resto, il programma di Donald Trump include una taglio alle tasse molto importante. La forte reazione del mercato obbligazionario USA, quindi, potrebbe portare ad una maggiore disponibilità dell’Amministrazione Trump alle negoziazioni con i partner commerciali. Questo, se da un lato continuerà a mantenere i tassi di interesse elevati («higher for longer»), dall’altro lato offrirà opportunità di ingresso interessanti per gli investitori in grado di sopportare un grado di rischio un po’ più elevato nel breve termine.

La stessa tesi è valida ancora di più per i titoli di Stato dei Paesi europei e per le obbligazioni societarie Investment Grade europee che in queste settimane di volatilità si sono dimostrati resilienti. 

Tassi di cambio

Anche sui mercati valutari, il USD non ha beneficiato della tradizionale domanda in qualità di bene rifugio a cui è sempre stato soggetto. Al contrario, la perdita di fiducia verso la valuta USA è stata significativa, seppur va riconosciuto che questa debolezza rientra con favore nei piani dell’Amministrazione USA che a più riprese ha invitato i partner commerciali, specialmente quelli asiatici, a rafforzare le proprie valute.

Tra il «Liberation Day» e la fine della scorsa settimana, il Trade-Weighted USD Index ha perso circa il 4% e raggiunto il livello più basso negli ultimi tre anni. Il Franco svizzero, in particolare, si è dimostrato come la valuta rifugio privilegiata salendo dell’8,2% nei confronti del USD nell’arco dello stesso periodo e si è portata ad un massimo da dieci anni. Oltre allo Yen, anche l’Euro ha riscontrato molta domanda in questo contesto. L’EUR/USD è salito dall’1,08 nel «Liberation Day» ad un massimo degli ultimi tre anni a 1,1473 venerdì scorso. Tra giovedì e venerdì, la valuta unica ha anche registrato il maggior apprezzamento giornaliero rispetto al USD degli ultimi dieci anni.

Le valute che hanno perso terreno, invece, sono state il Dollaro australiano (AUD), che potrebbe trovarsi in una situazione di grave difficoltà a causa del conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina, e la Corona norvegese (NOK), a causa del clima generale di avversione al rischio e alla pressione al ribasso sui prezzi del petrolio e del gas naturale.

In Cina, i timori per una svalutazione del Renmimbi (CNY) per bilanciare, almeno in parte, la diminuzione delle esportazioni verso gli Stati Uniti non si sono materializzati finora. Anche se la divisa cinese si è deprezzata leggermente nel fixing giornaliero, si è trattato di movimento ordinato e di poca entità.

Per il momento sui mercati valutari si è invertita la tradizionale relazione tra tassi di interesse più elevati e valore della divisa: dove i rendimenti sono saliti di più, negli Stati Uniti e nel Regno Unito, le rispettive divise sono andate sotto maggiore pressione.

Dopo questi giorni di notevole volatilità sui mercati valutari, dovuta in parte anche al posizionamento molto affollato a favore di un apprezzamento del USD nei giorni che hanno preceduto il «Liberation Day» e che ora è probabile sia stato ridotto in maniera significativa, i movimenti dovrebbero d’ora in avanti essere più contenuti.

Ma quello che è emerso in questi giorni è la perdita fiducia nei confronti del USD, che difficilmente verrà recuperata nel breve periodo. Se il conflitto commerciale dovesse dare segnali di ulteriore escalation, la pressione sul USD potrebbe farsi sentire di nuovo. Le conseguenze del conflitto commerciale, infatti, potrebbero portare ad un rallentamento economico negli Stati Uniti, a cui la Federal Reserve dovrebbe rispondere con una riduzione dei tassi di interesse nonostante il rischio inflattivo associato ai dazi. Infine, non deve essere trascurato che il mercato si aspetta che l’Amministrazione USA voglia un USD debole per stimolare le proprie esportazioni.

L’esatta entità di quanto oggi gli investitori abbiano ridotto i propri investimenti in Treasury e quindi le proprie posizioni in USD sarà nota soltanto nelle prossime settimane.

L’incertezza legata alle politiche commerciali USA potrebbe continuare ad indebolire il USD, anche se d’ora in avanti l’indebolimento potrebbe essere meno violento. 

Materie Prime

Le materie prime hanno avuto reazioni differenti al «Liberation Day».

  • Oro: in prima battuta i prezzi dell’oro sono andati sotto pressione. Gli investitori hanno dovuto liquidare parecchie posizioni sull’oro per compensare le margin-call sulle posizioni in perdita su altri attivi, per esempio sui mercati azionari, o comunque per generare liquidità. Questo comportamento degli investitori è abbastanza usuale e non è raro che l’oro veda le proprie quotazioni scendere all’inizio delle turbolenze di mercato. Ma successivamente ha ritrovato gli acquisti segnando importanti guadagni. Dal 9 aprile, il giorno di applicazione delle tariffe reciproche, all’11 aprile, i prezzi dell’oro sono saliti di oltre l’8%. Dal «Liberation Day» segna un guadagno del 3,3% con un massimo segnato intorno ai USD3.245 l’oncia.
  • Materie prime energetiche: al contrario dell’oro, i prezzi del petrolio sono scesi molto in questo periodo. Da una parte sono aumentate le preoccupazioni per l’andamento dell’economia globale, dall’altra l’OPEC+ ha aumentato la produzione. La commistione di queste dinamiche si è tradotta in una discesa significativa dei prezzi del petrolio. Il Brent ha perso il 13,6% dal 2 all’11 aprile. Anche i prezzi del gas naturale sono scesi.
  • Metalli industriali: anche in questo caso le preoccupazioni di un rallentamento dell’economia globale hanno avuto un ruolo decisivo. Durante questo periodo, al rame ha perso più del 5% al London Metal Exchange, mentre l’alluminio, a cui erano stati applicati dei dazi a metà marzo, è sceso del 3,75%. Tuttavia, la maggior parte dei metalli industriali si trova al di sopra dei propri minimi segnati il lunedì 7 aprile. Il rame, ad esempio, si trova oltre il 10% dai suoi minimi. Secondo alcune fonti, questo recupero dovrebbe essere stato indotto dagli acquisti del settore industriale in Cina che ha approfittato dei prezzi bassi. Ma non solo. Il mercato si aspetta che la Cina, da cui dipende una quota importante di domanda di metalli industriali, aumenterà lo stimolo fiscale per far fronte ai dazi.

Se la fiducia verso il USD o i titoli di Stato USA dovesse essere stata danneggiata in maniera importante, è probabile che l’oro continuerà ad essere visto come bene rifugio. Le brevi discese delle quotazioni dell’oro sono state viste come occasioni di acquisto a prezzi favorevoli da parte delle Banche Centrali e dagli investitori istituzionali e privati asiatici. Questa domanda dovrebbe pertanto proseguire nonostante i prezzi siano molto elevati.

Le materie prime energetiche e i metalli industriali scontano uno scenario recessivo. Ma lo stimolo fiscale che probabilmente arriverà in Cina a supporto del mercato immobiliare e dei consumi domestici, così come le eventuali misure di sostegno in Eurozona qualora l’escalation commerciale dovesse proseguire, ed infine il piano di spesa per le infrastrutture in Germania potrebbero bilanciare questo scenario recessivo. I prezzi del petrolio, in particolare, potrebbero essere vicini ai minimi. 

Mercati azionari

I mercati azionari di tutto il mondo hanno reagito in maniera molto negativa agli annunci sui dazi degli Stati Uniti. L’S&P 500 e il Nasdaq 100 hanno perso poco meno del 13% tra l’annuncio dei dazi reciproci del 2 aprile e la loro successiva sospensione di 90 giorni il 9 aprile, estendendo le perdite segnate dai massimi raggiunti a metà febbraio. Il Nasdaq 100 in alcuni momenti è andato in territorio di «bear market» (-22,9%), mentre l’S&P 500 lo ha evitato per poco (-18,9%). L’indice europeo STOXX 600 ha resistito un po’ meglio rispetto alle controparti statunitensi perdendo anch’esso circa il 13%. Dai massimi raggiunti il 3 marzo, la discesa è stata del 17%. Infine, anche in Asia i prezzi delle azioni sono scesi in maniera importante. L’indice MSCI China è entrato in territorio di «bear market» dopo aver registrato un rally di oltre il 30% tra la metà di gennaio e metà marzo, mentre l’indice MSCI Japan ha evitato questa sorte ma non di molto.

Al tempo stesso, la reazione alla sospensione dei dazi reciproci è stata altrettanto positiva in tutto il mondo. L’azionario USA ha addirittura registrato uno dei guadagni giornalieri più elevati di sempre lo scorso mercoledì. Ma l’euforia per la pausa delle tariffe ha avuto vita breve e nei giorni successiva i prezzi delle azioni sono scesi di nuovo. Ad oggi, gli indici menzionati sopra scambiamo all’incirca tutti intorno al 10% al di sotto dei rispettivi massimi dall’inizio dell’anno.

Al di sotto delle superficie degli indici, i settori più ciclici o quelli caratterizzati dalle valutazioni più elevate hanno registrato le perdite maggiori dopo gli annunci dei dazi. All’interno dell’S&P 500, il settore energetico (-18,4% tra il 2 e il 9 aprile), il settore IT (-14,4%), quello dei materiali (- 14,3%) e il settore dei beni di consumo discrezionale (-13,4%) sono stati i più colpiti. Viceversa, i settori tipicamente difensivi come i beni di prima necessità (-6,3%), il settore sanitario (-7,8%) e delle utilities (-8,0%) hanno beneficiato delle loro caratteristiche e attraversato meglio questo periodo. Il quadro settoriale è stato molto simile in Europa: energetici (-19,1%), banche (-17,2%) e settore dei materiali (-16,4%) hanno subito le perdite maggiori, mentre beni di prima necessità (- 5,5%), utility (-7,4%) e immobiliare (-8,4%) hanno perso di meno.

Durante il rally che ha fatto seguito alla pausa dei dazi, i settori che avevano perso di più sono stati quelli che hanno guadagnato di più. All’interno dell’S&P 500, il settore IT è salito di quasi il 12% dai minimi, mentre il settore dei materiali, gli industriali e i beni di consumo discrezionali sono saliti tutti all’incirca dell’8%. I titoli energetici, invece, hanno recuperato solo il 3%, complice il fatto che i prezzi del petrolio sono rimasti su livelli bassi. Anche in questo caso, in Europa è emerso lo stesso quadro. Dai minimi, le banche (8,8%) e il settore dei materiali (8,1%) hanno registrato guadagni significativi, mentre il settore energetico (+5,5%) è rimasto più indietro. I settori difensivi sono saliti fino al 5% ciascuno sia negli Stati Uniti che in Europa. I trend sono stati molto simili anche in Giappone e in Cina.

Guardando avanti, gli sviluppi della politica commerciale USA saranno il fattore determinante per il futuro dei mercati azionari. A causa dell’incertezza molto elevata, però, è possibile che le fluttuazioni osservate finora in entrambe le direzioni continuino. Riteniamo improbabile che i prezzi delle azioni tornino presto ai livelli precedenti al 2 aprile. Dopo tutto, il contesto macroeconomico in cui operano le imprese si è già deteriorato in maniera rilevante, se non altro a causa dei dazi minimi del 10% e delle misure di ritorsione globali. In questo momento non si può escludere che il mercato ritorni vicino ai minimi toccati in precedenza. A nostro avviso, infatti, una recessione dell'economia statunitense, in cui l'S&P 500 ha storicamente perso in media il 30%, è stata scontata al massimo al 50% dalle quotazioni dei mercati. Se la situazione dell'economia statunitense dovesse deteriorarsi ulteriormente, è probabile che i prezzi scendano di nuovo.

In questo contesto, le azioni europee potrebbero resistere meglio delle controparti statunitensi grazie alle loro valutazioni significativamente più basse, sebbene in passato siano state raramente in grado di sfuggire alle vendite sui mercati azionari degli Stati Uniti. Di norma, infatti, in queste situazioni anche le azioni europee hanno registrato dei cali.

Ma per gli investitori con un orizzonte d'investimento a lungo termine e una corrispondente propensione al rischio, nonostante tutte le incertezze, ci sono opportunità al momento. Le valutazioni dei settori che valutiamo in maniera favorevole investimenti per il lungo termine sono scese a livelli interessanti. In Europa, questi settori includono le banche e compagnie di assicurazione, ma anche le azioni del settore industriale. Negli Stati Uniti, gli investitori più audaci potrebbero guardare alle azioni delle grandi società tecnologiche, anche se prima di investire sarebbe meglio attendere l'annuncio ufficiale dei dazi anticipati da Trump sul settore dei semiconduttori.

Per gli investitori che desiderano posizionarsi in modo più difensivo nel contesto attuale, consigliamo i settori delle telecomunicazioni, delle utility e dei beni di prima necessità in Europa. Questi sono poco toccati dai dazi e hanno valutazioni interessanti. I loro P/E sulla base degli utili attesi per i prossimi dodici mesi sono rispettivamente di 14x, 12x e 14x. Le società di telecomunicazioni sono attualmente scambiate all'incirca allo stesso prezzo della media degli ultimi dieci anni, mentre le utility e i beni di consumo di base sono scambiati con sconti di circa il 10% ciascuno.

Al momento, consigliamo cautela sui titoli del settore sanitario, che questa volta potrebbero non rispettare la loro tradizionale reputazione di segmento di mercato difensivo. Trump ha annunciato che ci saranno dazi sulle importazioni di prodotti farmaceutici. Sebbene le aziende farmaceutiche europee abbiano molti siti di produzione direttamente negli Stati Uniti, che dovrebbero attutire l'effetto dei dazi, l’impatto sarebbe comunque rilevante. Infatti, con oltre il 40% dei ricavi, gli Stati Uniti sono il mercato più importante per il settore. Anche il recente deprezzamento dell'USD sta pesando sui profitti del settore.

Negli Stati Uniti, le utility sono particolarmente interessanti tra i settori difensivi, con valutazioni relativamente basse (P/E: 17x, 4% di sconto rispetto alla mediana degli ultimi 10 anni) e solide prospettive di crescita degli utili del 5% e dell'8% rispettivamente per il 2025 e il 2026.