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April 9, 2024
L’antico Egitto è di casa a Torino
Il Museo Egizio più antico del mondo, secondo per importanza solo a quello del Cairo, compie 200 anni di vita.
“La strada per Menfi e Tebe passa da Torino”, ha dichiarato il famoso archeologo ottocentesco Jean-François Champollion. Una frase che mantiene la propria validità anche ai giorni nostri, dal momento che il Museo Egizio di Torino è considerato tra i più importanti al mondo, secondo solo a quello del Cairo. Sul quale vanta, però, un ulteriore primato; quello di Torino è infatti il museo egizio più antico in assoluto: fondato nel 1824, festeggia quest’anno il suo duecentesimo anniversario.
Le caratteristiche e i “numeri” di questa istituzione sono decisamente prestigiosi: oltre 1 milione di visitatori nel 2023; 40 mila reperti custoditi, di cui 12 mila esposti sui 4 piani del Museo con sfingi, statue colossali, minuscoli amuleti, sarcofagi che raccontano quasi 4000 anni di storia antica. Tra i reperti più celebri ci sono il Papiro dei Re (noto all’estero come la Turin King List, l’unica lista giunta fino a noi che ricostruisce il susseguirsi dei faraoni, scritta a mano su papiro), e il Papiro delle Miniere, una delle più antiche carte geografiche conosciute. E ancora sculture come la statua del sacerdote Anen, quella di Ramesse II, quella della cosiddetta Iside di Copto, il ricco corredo funebre di Kha, sovrintendente alla costruzione delle tombe dei faraoni e innumerevoli altri straordinari ritrovamenti dal passato.
Ma come è accaduto che un museo simile trovasse casa proprio a Torino? In sintesi, per una serie di fortunate circostanze e per mecenatismo. Tra la fine del ‘700 e la metà dell’ ‘800 esplose infatti, anche grazie all'invasione dell'Egitto ad opera di Napoleone, la moda di collezionare reperti egizi; un secolo di“Egittomania”, in cui la dinastia dei Savoia teneva particolarmente a legare la storia di Torino con quella della civiltà nilotica. Una ghiotta opportunità in questo senso si manifestò intorno al 1820, quando Bernardino Drovetti (console generale di Francia in Egitto prima con Napoleone e successivamente con Luigi XVIII, appassionato collezionista di reperti antichi) decise di vendere la sua collezione di circa 8.000 pezzi di antichità egizie per rientrare delle ingenti spese sostenute durante le sue ricerche archeologiche. Lo Stato sabaudo, dal canto suo, vedeva nell’acquisizione della collezione l’occasione per il Piemonte di arricchirsi dal punto di vista culturale e “turistico”, dal momento che la collezione di Drovetti avrebbe potuto attirare a Torino molti “forestieri istruiti”; senza contare il rischio che la raccolta andasse invece venduta alla rivale Francia. Così, dopo lunghe trattative, nel gennaio 1824 fu siglato l’accordo di acquisizione tra Drovetti e re Carlo Felice, a cui seguì una lunga e complessa fase di trasferimento dell’intera collezione fino a Torino.
Parallelamente alla questione del trasporto, si incominciò a pensare all’ubicazione della collezione Drovetti una volta giunta a destinazione: fu così individuato il palazzo denominato “Collegio dei Nobili”, costruito su disegno di Michelangelo Garove dal 1679; la stessa sede che ancora oggi ospita il museo. La collezione Drovetti suscitò subito grande interesse da parte di molti appassionati di egittologia: a metà dell''800 il museo era già un punto di riferimento per gli egittologi, al punto che Jean François Champollion, celebre per aver tradotto la stele di Rosetta, trascorse un lungo periodo di studi proprio nel museo.
Ma era solo l’inizio: tra il 1903 e il 1937 gli scavi archeologici condotti in Egitto prima da Ernesto Schiaparelli e poi da Giulio Farina portarono a Torino circa 30.000 reperti. Il Museo ebbe una prima risistemazione delle sale nel 1908 e una seconda, più importante, nel 1924, con la visita ufficiale del Re. A tal proposito, per sopperire alla mancanza di spazio, Schiaparelli ristrutturò la nuova ala del Museo (chiamata poi “ala Schiaparelli”), nella quale espose reperti provenienti da Assiut e Gebelein. Ulteriori ristrutturazioni e adattamenti seguirono anche negli anni successivi. Tra questi, particolarmente importante fu l’opera di ricomposizione del tempietto rupestre di Ellesiya (la cui struttura fu tagliata in 66 blocchi per il trasferimento a Torino) che fu donato nel 1970 dal Governo Egiziano in riconoscimento dell’aiuto italiano nel salvataggio dei templi nubiani minacciati dalle acque della diga di Assuan.
Si arriva così ai giorni nostri: dopo 200 anni di ampliamenti, arricchimenti e ristrutturazioni il Museo Egizio di Torino continua ad affascinare i visitatori offrendo loro un emozionante viaggio attraverso 4000 anni di storia.
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